I Bagni Vecchi si trovano sulla collina prospicente il vecchio paese di Bormio. La loro collocazione è importante in quanto si trovano sulla strada che conduce al passo dello Stelvio. Si tratta storicamente di una delle principali vie di pellegrinaggio verso Roma (Romea).
Qui i pellegrini che avevano passato il valico trovavano ristoro dopo giorni di marcia e potevano anche curare piaghe e ferite grazie al potere cicatrizzante delle acque. Una delle sorgenti principali (sono nove in totale) si trova proprio alle spalle di un’antica chiesetta risalente al 1100 le cui fondamenta, si dice, sorgessero su un preesistente tempio pagano probabilmente collegato al culto della acque e della dea (terzo indizio: un culto antico).
Si dice anche che, come già per i Bagni di Masino, anche qui, ai Bagni di San Martino vi si recassero le donne che volevano rimanere gravide. La presenza di questi antichi culti dedicati alla natura, all’acqua, alle potenze del magnetismo terrestre si riscontrano in alcune tracce risalenti alla cultura celtica come il bassorilievo del V secolo a.C. che raffigura due soldati celto-liguri (rezi) mentre stanno officiando un rituale con l’acqua che si trovava nella Chiesa di San Vitale (nel cuore di Bormio) oggi trasferito in un museo Archeologico di Como.
Il culto pagano rivolto al potere taumaturgico delle acque e alla natura qui fu particolarmente radicato e duraturo nei secoli. A dimostrazione di ciò ci sono i documenti dell’inquisizione e della forte repressione della chiesa durata fino al XVII secolo con atti di processi verso le streghe (quarto indizio: il martirio delle streghe) nel tentativo di sopprimere un culto antico. Il piazzale nel cuore del paese, Piazza Cavour, è conosciuta come il Cuerc ovvero coperchio in dialetto.
È il simbolo di Bormio e aveva funzione in passato di tribunale dell’inquisizione ma non solo. Sulla pavimentazione è ancora visibile la lastra di base della “berlina” a cui venivano condannati i rei e sottoposti allo sfregio e alle ingiurie del popolo. (da cui il detto usato ancora oggi: essere messi alla berlina). Sembra invece che i roghi per le streghe fossero nella vallata nel prato prospicente la Chiesa di San Gallo.
Una ricca bibliografia locale conserva la memoria storica di questi atti inquisitori che qui in valle furono particolarmente cruenti a dimostrazione che il culto che dovevano estirpare era una realtà difficilmente negabile. Tanto che la figura del divino femminile è sopravvissuta anche in epoca cristiana, nel culto dedicato a Maria, come madre di Cristo a cui sono dedicate innumerevoli chiese in tutta la valle (quinto indizio: chiese mariane).
L’iconografia mariana spesso raffigura la madonna “in trono” con il cristo seduto in posa ieratica sul suo grembo: il simbolo della madre terra che tiene in grembo l’uomo, l’umanità.
Ci sono raffigurazioni anche della madonna mentre allatta il cristo già grande un chiaro riferimento alla simbologia di Iside, la divinità egizia che allatta il giovane Horus ovvero la madre terra che da nutrimento all’uomo come ad esempio nei due affreschi dedicati alla madonna del latte custoditi nella Chiesa di San Vitale. (sesto indizio : la madonna del latte).
E come ultimo indizio di questa mia appassionante ricerca mi chiedo se per caso non vi siano effigi di Madonne Nere in zona. Con mio stupore trovo una grande santuario a Tresivio. Mi accompagna una guida di eccezione l’architetto Minatti che, da anni e con grande passione e dedizione, si sta occupando della sua ristrutturazione per riportare all’antico splendore la “Santa Casa di Tresivio”.
L’imponente santuario è dedicato alla Madonna Lauretana, la celebre madonna nera di Loreto, e nei secoli è stato meta di pellegrinaggio. L’emozione è tanta nell’aprire il portone e scoprire al suo interno, in tutto il suo splendore, la “Santa Casa” della Madonna nera…dal caratteristico cielo stellato (altro richiamo ai sepolcri funerari egizi?).
Nelle fondamenta del santuario c’è la cripta, cuore del culto originario e nucleo di una chiesa antica dalle cui macerie (chissà) potrebbero ancora comparire importanti reliquie, magari addirittura l’originaria statua lignea della madonna col bambino.
Le effigi sia scultoree sia pittoriche delle madonne nere sono molteplici in zona (settimo indizio: le effigi di madonne nere), rimangono forse, le uniche silenziose testimoni di una lunga tradizione dedicata all’importanza del divino femminile che con pervicace sincretismo ha trovato spazio anche nelle più importanti religioni secolari fino ai giorni nostri.
Nel mito – la tradizione orale
Vi sono tracce di questo culto al femminile anche nei miti e nelle leggende tramandate oralmente nella cultura popolare valtellinese. Apparizioni di draghi, serpenti (simboli acquatici) così come di figure di “fate amanti” che richiamano i miti melusiniani come quello della “magada” ovvero della “maga”.
Il termine ricorre anche nella toponomastica di diversi luoghi della zona. Vi sono storie raccontate da madre a figlia che narrano di apparizioni femminili correlate a corsi o sorgenti d’acqua dai poteri magici e con valenze simboliche. Figure mitologiche femminili “acquatiche” analoghe si ritrovano nella cultura celtica dove la “dea” è sempre in qualche modo collegata all’acqua nelle sue epifanie come Rosmerta (vergine delle fonti) o la grande dea irlandese Morrigan spesso associata alla figura della “lavandaia”.
La dea, la strega, l’amante è una figura soprannaturale che si può manifestare sotto diverse spoglie ma ha sempre a che vedere con corsi o sorgenti d’acqua e ha potere di vita e di morte sull’uomo. Anche la parola pagano si ritrova più volte nella toponomastica dei luoghi e spesso per designare antri e boschi oscuri oppure luoghi dove si erano prolungati rituali sospetti (ad esempio prato della pagania, o bosco della paganazza).
Altri toponimi invece riprendono concetti legati al femminile come il Crap de la scióra o laghét de la scióra dove per “scióra”, ovvero signora, s’intende la divinità femminile signora degli elementi.
Nelle lettere – Del S.Nicolo’ degli Alberti da Bormio (XVI sec.)
“Quando i begli occhi prima
Di voi donne, infiammar potean il core,
e renderlo soggetto al vostro amore,
tant’hor gli alti concetti
de vostri animi eterni in queste carte,
mille amorosi affetti
destano in si leggiadra e nobil arte,
ch’in voi ciascuno apprezza
l’interna più che la mortal bellezza.
Nella devozione popolare
Una sperduta chiesetta in montagna dedicata a San Colombano (il monaco irlandese legato al sincretismo celtico-romano) è stata per secoli oggetto di un pellegrinaggio praticato dalle donne contro l’infertilità.
La Madonna di San Colombano è la Madonna della fecondità ed è raffigurata nell’atto di allattare il Bambino ( Madonna del latte) – come negli affreschi della Chiesa di San Vitale .